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In questi anni occupandomi di pagamenti elettronici e monetica ho avuto occasione di conoscere Giulia e Devid. Con loro ho partecipato a diverse iniziative, nelle quali abbiamo acquisito la consapevolezza di come un pezzettino del miglioramento della società passi dalla diffusione dei pagamenti digitali. Per raggiungere obiettivi ambiziosi ciascuno deve fare la propria parte: loro, con questo libro, compiono un passo molto importante, oltre che molto utile.
Quando mi hanno chiesto di scrivere la prefazione al loro libro è stato quindi un vero piacere. Ve la propongo integralmente con la speranza di farvi venire l’acquolina in bocca su un testo davvero completo e approfondito, che potrete scaricare da uno degli store segnalati sul sito di GOWare.
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Gli italiani, si sa, hanno sempre avuto col contante un rapporto di grande amore.
Per lungo tempo prelevato allo sportello bancario, con regolarità spesso settimanale, il contante finiva per essere nascosto tra i libri o in un cassetto, per le spese di tutti i giorni.
Poi negli anni Ottanta, con l’avvento degli sportelli automatici (atm), i prelievi si sono fatti più frequenti, anche se di minore quantità di denaro. Ma sempre con la stessa logica: avere una disponibilità immediata superiore alle previsioni di spesa. E neanche la diffusione dei pos ha cancellato la cattiva, e costosa, abitudine di ritirare contante poco prima di spenderlo in un negozio.
Eppure, dopo decenni di indefesso utilizzo del contante, qualcosa sta cambiando anche nel Belpaese: la diffusione di Internet, l’esecuzione in mobilità di tante operazioni quotidiane, l’uso degli smartphone stanno ormai scalfendo le vecchie abitudini. Cambiano così i gusti e con essi cambiano le modalità di acquisto a beneficio di canali Internet e vetrine elettroniche remote.
E cambia anche la percezione del denaro e il rapporto che si ha con esso. Ma non è un fenomeno che riguarda indistintamente tutti. Come accade in tutti i processi disruptive, si sta affacciando un nuovo tipo di divario tra le persone: l’e-payment divide, appunto, che rischia di segnare una netta distinzione tra chi usa con semplicità – e direi naturalezza – i nuovi strumenti di pagamento elettronico e chi non lo fa per i più diversi motivi.
Già Marshall McLuhan definiva il denaro come medium sociale, quindi suscettibile di fortissime trasformazioni. Secondo il sociologo canadese, il denaro – nato in forma di merce col baratto – ha sempre mantenuto la sua iconicità; una caratteristica sempre più affermata fino a recuperare nelle società tribali lo scambio di doni come nuova, potente e diffusa forma di consumismo. Il denaro, dice McLuhan, è un linguaggio che traduce ogni tipo di lavoro in altro, e che in quanto traduttore, proprio come la scrittura, accelera gli scambi e fortifica legami di interdipendenza di ogni comunità, trasformandosi nel tempo da moneta a diritto di credito. Ed è in questa trasformazione che il denaro rende più evidente lo scambio come movimento di informazione.
Questo processo ci porta a dire che un giorno il denaro sparirà o, se si vuole, il pagamento sarà una semplice operazione all’interno di un’operazione più complessa che è l’acquisto, trasformandosi in una informazione incorporata in un più complesso scambio di informazioni.
È dal 2014 che il mondo dei pagamenti elettronici alternativi al contante vive progressi che altri medium hanno già subito da tempo. È infatti il caso della musica e la totale smaterializzazione del suo supporto. Il vinile è sparito alla fine degli anni Ottanta, le audiocassette hanno resistito per altri dieci anni soppiantati dal cd, che oggi vive la sua inesorabile e inarrestabile parabola discendente.
Invece le carte di pagamento, a parte qualche dotazione di sicurezza, banda magnetica e ologramma, poi chip emv e adesso il microchip contact-less, sono rimaste da sessant’anni quelle che comunemente chiamiamo “plastica”.
Ma presto anche la plastica si scioglierà di fronte a roventi innovazioni.
Queste innovazioni aprono inevitabilmente nuove sfide sul versante della protezione della sicurezza del titolare dello strumento di pagamento e del corretto uso dei dati personali; problemi che rappresentano, naturalmente, una delle maggiori preoccupazioni dei consumatori. Eppure, l’uso accorto del dato del consumatore da parte degli operatori dei sistemi di pagamento, attraverso l’offerta di servizi sempre più personalizzati, può favorire l’utilizzo dei pagamenti elettronici. Non a caso, le questioni relative alla c.d. data monetisation (infatti, «data is currency») sono quelle sulle quali si sta concentrando l’attenzione dei principali operatori del settore dei pagamenti. Va trovato un corretto equilibrio ed è proprio su questo che si sta definendo a livello europeo una General Data Protection Regulation (Gdpr).
Ma intorno a queste problematiche cosa succede?
Non si contano più le start up del settore Fintech, e tra queste tantissime che innovano i servizi di pagamento; ciascuna convinta di avere la soluzione definitiva che cambierà il nostro rapporto col denaro. Molte di queste spariranno inevitabilmente nel giro di pochi mesi, altre saranno acquisite da imprese più grandi o da banche, per essere utilizzate così come sono, oppure per veder valorizzata soltanto una parte della loro invenzione che sarà magari incorporata in un nuovo servizio. Altre riusciranno invece ad affermarsi pienamente. Ma difficilmente una prevarrà su tutte.
Il futuro dei pagamenti è già multicanale. Se oggi la domanda che ci si sente fare al momento del pagamento è «contanti o carta?», domani il prestatore di servizi o l’esercizio commerciale dovranno far fronte a una pluralità di strumenti di pagamento.
In questo contesto, il ruolo della regolazione diventa fondamentale per evitare la nascita di monopoli e per accompagnare il mutamento delle tecnologie garantendo la concorrenza. Anche l’idea stessa di banca potrà subire trasformazioni profonde e verticali, forse autonomizzando definitivamente una funzione che le banche hanno incorporato tempo fa. E bisognerà impedire la costituzione di monopoli, attraverso soluzioni integrate e interoperabili.
Il libro di Giulia Arangüena e Devid Jegerson affronta anche questi passaggi e ha il merito di farlo con una ricchezza di dati e approfondimenti enormi. È un testo che riesce ad avere due livelli di lettura, quello utile a chi si avvicina al mondo dei pagamenti elettronici e l’altro di approfondimento, per chi già conosce la materia. Ed è un libro pubblicato contemporaneamente all’uscita di due importanti provvedimenti europei, il Regulation on Interchange Fees for Card-Based Payment Transactions, recentemente approvato, e la nuova Payment Services Direttive (Pds2) che non solo abroga la precedente, ma innova fortemente il sistema, allargando il mercato dei pagamenti online, attraverso l’inclusione di nuovi operatori e servizi innovativi.
La situazione è assai mutata rispetto ai tempi della vecchia direttiva (entrata in vigore nel 2009), anche per l’ingresso di nuovi soggetti nel mercato dei pagamenti, dagli operatori telefonici agli Over The Top, passando per i fornitori di utility e, certo non ultima, la pubblica amministrazione. Quest’ultima, in particolare nel nostro Paese, può rappresentare una leva fortissima per la diffusione di una cultura dell’e-payment.
E chi dovesse storcere il naso per l’accostamento della parola cultura al tema dei pagamenti, dovrebbe sapere che molti dei vantaggi dei pagamenti elettronici sono sconosciuti ai più. Quante persone conoscono la differenza tra carta di credito e carta prepagata? Quante persone non usano pagamenti elettronici perché temono una frode?
La normativa e la vigilanza a tutela dei consumatori è molto stringente, e nel tempo quindi è aumentata da parte dei vari attori il livello degli investimenti in sicurezza. Gli ultimi dati disponibili, del 2013, rappresentano una percentuale di frodi sul valore totale delle transazioni pari allo 0,039%, mentre quella rapportata al volume è dello 0,020% (fonte bce 2015), e si tratta di dati relativi alle carte di pagamento cioè, a oggi, lo strumento alternativo al contante più diffuso. Infatti a livello europeo, nello stesso periodo, per 100 miliardi di pagamenti non in contanti, il valore relativo alle carte rappresenta il 43,6% del totale (fonte bce 2015).
Ma cultura significa anche raccontare il costo del denaro, che ha una sua componente nota, relativa alla gestione, e una componente occulta relativa a conseguenze quali furti, perdite, errori. E anche i vantaggi sono poco noti.
Vi è innanzitutto la riduzione di costi grazie all’automazione di moltissime funzioni, con impatti anche sulla logistica, il generale miglioramento della fruizione dei servizi, una più puntuale e veloce erogazione degli stessi. Vi è poi un migliore controllo delle proprie abitudini di spesa e della consistenza finanziaria personale. Infine, una riduzione della massa di contante consentirebbe una migliore individuazione delle sacche di economia nascosta, ed è ormai provato che la riduzione dell’evasione fiscale avrebbe effetti diretti anche sulla corruzione.
Ma lo sguardo del legislatore e della politica deve essere capace di guardare oltre. In Italia, secondo una statistica della Commissione europea nel 2013, il numero dei cittadini senza un conto corrente è enorme ed è pari a circa 15 milioni di persone, ovvero il 29% degli italiani over 15. Se ridurre la percentuale delle transazioni in contanti nel Paese, pari a circa l’80% del volume totale, è una sfida, farlo nei confronti di quei cittadini è forse una provocazione!
Per vincere queste sfide il policy maker deve avere consapevolezza della complessità del sistema dei pagamenti, di tutte le innovazioni che stanno intervenendo e soprattutto dimostrare tanta flessibilità, recuperando ad esempio per quei cittadini ancora unbanked soluzioni semplici, collegate all’unico strumento che sicuramente quei 15 milioni di cittadini, nessuno escluso, hanno in tasca: il telefonino, anche se non è uno smartphone. Quando questi cittadini ricaricano una sim non fanno altro che trasformare il contante in unità di conto digitale. Avvicinarli, quindi, all’alternativa al contante tramite il credito della loro sim ricaricabile, esattamente come alcune esperienze di successo in Africa hanno dimostrato, può essere la soluzione.
Ecco, questo è lo spirito che deve animare chi vuole cambiare ruolo, percezione e direi faccia del denaro, attraverso la costante ricerca di soluzioni innovative che includano sempre più persone, riducendo quell’e-payment divide che vi è tra cittadini e, nel nostro caso, anche tra l’Italia e il resto dell’Europa.
Ma, prima di ogni altra cosa, occorre comunicare e soprattutto fare cultura dei pagamenti elettronici anche promuovendo la produzione di opere come questa, che ha il merito di essersi confrontata con un argomento ostico, multidisciplinare e, tutto sommato, anche poco conosciuto da parte del pubblico e, spesso, anche non del tutto padroneggiato, nei fondamentali aspetti economici e giuridici generali, dalle persone più esperte.
Conoscere tali aspetti è fondamentale anche per avvicinare le persone all’utilizzo dei nuovi sistemi di pagamento digitale.